Shadowbox Effect
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                                                         La difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie.
                                                        John Maynard Keynes
 
                              

Motivation

Unknown | 00:26 | 0 commenti

400_motivazione Quando si parla di obiettivi, si tira in ballo una componente fondamentale per il raggiungimento di quel particolare successo: lamotivazione.

In genere, non è il significato letterale della parola che sfugge, piuttosto i fili che muovono in tal senso. Ogni ambito della nostra vita, punta a dei risultati; capita nel lavoro, nelle relazioni interpersonali, in famiglia, con gli amici, con se stessi. Ogni giorno, auspicabile almeno, maturiamo il proposito di fare meglio fissando nuovi traguardi o cercando di migliorarci nelle performance che non ci hanno soddisfatto in precedenza.

Le caratteristiche personali, gli schemi comportamentali acquisiti, le mappe mentali, ci permettono di fronteggiare le difficoltà e conquistare risultati più o meno ambìti. Solitamente ci limitiamo a usare l’approccio più familiare, non utile, direi “comodo”, ma è bene sapere che lo spettro delle possibilità è più ampio di quello in cui ci braccano le nostre convinzioni.

Trasliamo queste vaghe riflessioni in un contesto aziendale. Ogni azienda pretende il raggiungimento di risultati, obiettivi, spesso senza offrire una contropartita. Lo stipendio (diamolo per scontato) da solo non basta quando si gestiscono le persone con i loro mondi interiori, i vissuti personali... i loro “umani” bisogni; ancora oggi i lavoratori sono considerati un costo e raramente un investimento. Pesante accettarne le conseguenze.

Quindi cos’è la “motivazione”? Per Maslow è la tendenza che spinge verso la realizzazione dei bisogni secondo una scala gerarchica, illustrata all’interno di una piramide.


Senza pretese accademiche, diciamo semplicemente che si parte dalla base della piramide, con i bisogni primari. Ogni gradino soddisfatto, spegne la motivazione a quel livello e la riaccende al livello successivo, superiore.

Esempio banale, se ho fame sento il “bisogno” di mangiare e il mio comportamento è “motivato” a ingerire del cibo. Appena raggiungerò la sazietà, si spegnerà tale bisogno e la motivazione si dirigerà altrove.

Herzberg misura la soddisfazione e l’insoddisfazione del lavoratore secondo due fattori:
- I fattori igienici, rappresentati dalle condizioni di lavoro, dallo stipendio, dalle gestioni interne, dai rapporti interpersonali;
- I fattori motivanti, rappresentati dal successo, dai feedback del lavoro svolto, dalla presenza di stimoli lavorativi, dalla condivisione degli obiettivi, dalle ricompense “oggettive”, dalle prospettive di crescita personale e di avanzamento di carriera.

Queste teorie non sono le uniche o le più importanti, ma è bene conoscerle per comprendere la posizione successiva, quella di Mc.G. Douglas, riferita al management in un interessante cambio di prospettiva. E’ la teoria X e Y (ne seguirà una sperimentale, Z).

Il manager, secondo Douglas, se non soddisfa i bisogni della scala primaria di Maslow e quelli igienici di Herzberg, si muoverà secondo la teoria X e sarà alimentato dalle seguenti convinzioni: l'essere umano ha un'avversione innata nei confronti del lavoro, è pigro, non sa autogestirsi, ha scarse ambizioni e preferisce evitare le responsabilità. Per tali motivi, deve essere controllato e gestito in maniera autoritaria. Non c’è condivisione delle politiche aziendali; non ci sono riconoscimenti.

Questo approccio è piuttosto rappresentativo della “mediocrità delle masse”, è il metodo della “carota e del bastone” che pur funzionando in certi contesti, non è adeguato quando si gestiscono le persone con i loro bisogni sociali.

L’altra prospettiva: il manager soddisfa i bisogni di ordine superiore della scala di Maslow, e quelli motivanti di Herzberg. In quest'ottica, si muoverà secondo la teoria Y, pensando che l’essere umano ha voglia di lavorare, che è soddisfatto per il lavoro che svolge, che è in grado di gestirsi e di assumersi responsabilità, che è spinto a fare “bene”. Quindi preferirà delegare, ricorrerà a riconoscimenti, gratifiche, elogi. 
Questo approccio, apre la strada alla collaborazione tra manager e lavoratori, al lavoro di squadra; le esigenze personali e gli obiettivi dei singoli, si integrano e si armonizzano con le esigenze e gli obiettivi aziendali.

Purtroppo il passaggio dalla posizione X a quella Y, non è di semplice realizzazione; per molte aziende rimane una meta irraggiungibile, a causa dell’incompatibilità degli obiettivi e delle esigenze tra le parti.

Riassumendo, si lavora bene quando si è motivati. La motivazione è direttamente proporzionale alla percezione che il lavoratore ha di poter soddisfare i propri bisogni. 
La domanda: vi sentite motivati?

Un’azienda che non garantisce l’efficienza igienica dei locali, che non presta attenzione al confort degli ambienti di lavoro, che non riduce i disagi, svolge un’azione “fortemente” demotivante. Se hai solo 15 minuti per prendere un caffè e devi spostarti al 1° piano dal 5° o dal 6°, e trovi funzionanti solo due ascensori su quattro previsti, sprechi tempo e magari ti richiamano per inefficienza. Il “bisogno” del lavoratore non è soddisfatto nella misura in cui non si ha rispetto del suo tempo. 
E siamo ancora fermi ai “bisogni primari”.

Ipotizziamo che l’azienda superi il primo step. Come continua a motivare le persone? L’azione seguente, è passare dall’autorità al consenso. Quest’ultimo elemento è imprescindibile per muovere una squadra, un team, un gruppo, come spesso, impropriamente e inadeguatamente, ci dicono di essere.

Immaginate poter dire: Non mi piace il lavoro che faccio, ma mi fanno sentire importante per come lo faccio”. 
La sostanza del ruolo svolto non cambia. Lo stato d’animo si, e fa la differenza.

In un tessuto economico, dove l’individualità non rappresenta più la carta vincente (per anni ci hanno massacrato psicologicamente per essere più bravi degli altri), adesso è il lavoro di squadra che garantisce vittorie. Esistono nuove figure professionali che affiancano le aziende nel processo di formazione dei leader (sottolineandone l’importanza) e indicano le strategie migliori per motivare le persone (nel rispetto delle parti) affinché raggiungano gli obiettivi fissati. Per conoscenza, si chiamano “coach”.

Ma cosa guida la modifica dei comportamenti in maniera autorevole? E’ la “leadership” dei superiori, il cosiddetto carisma, che porta le organizzazioni a ricevere consensi e sviluppare “naturalmente” la propensione al successo. Alcuni, pur disponendo delle adeguate caratteristiche, vengono lasciati a svolgere il loro ruolo da soli, senza strumenti e supporti adeguati, a sperimentare gestioni secondo i propri modi di essere o secondo le ultime disposizioni ricevute. Per altri, le difficoltà sono perfino imbarazzanti.

Eppure i processi di selezione del personale, di recruiting, di assessment, dovrebbero già a monte individuare le persone con tali caratteristiche: presenza di leadership=leader=idoneo. Ma la leadership è evidentemente legata a disegni molteplici,  piuttosto che dipendere "esclusivamente" dalle caratteristiche del leader stesso.

Il “cambiamento” passa attraverso le persone; è strategico per il management aziendale monitorare oltre che le performance dei dipendenti, anche il clima aziendale in cui queste si realizzano. Una azienda che vuole sopravvivere, deve avere il coraggio di attuare dei cambiamenti e anticipare l’evoluzione dei contesti competitivi.

"L'impegno nei confronti degli obiettivi è in funzione della ricompensa associata al loro raggiungimento". Douglas McGregor.


10 Ottobre 2011

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