Amarcord
Il gruppo Almaviva minaccia di chiudere l'ex Atesia.
Tripi scrive ai sindacati e al governo: «Abbiamo perso 24 milioni di euro a causa delle stabilizzazioni. Dobbiamo tornare ai cocoprò».
Il fronte dei call center torna a farsi caldo, anzi rovente: con una lettera al governo e ai sindacati, Marco Tripi, il figlio del titolare e fondatore del gruppo Almaviva, Alberto, ha annunciato che l'azienda tornerà ad assumere lavoratori a progetto, a causa di pesanti perdite dovute alle stabilizzazioni realizzate nel 2007. Almaviva, che è anche proprietaria del celebre call center romano Atesia, spiega di aver perso 24 milioni di euro nell'ultimo biennio («24 milioni di euro!», scrive Marco Tripi con il punto esclamativo): se non ridurrà i costi, insomma, si minaccia «la perdita nel medio periodo di oltre 10 mila posti a tempo indeterminato e nel breve periodo la chiusura totale delle attività site su Roma».
Il fronte dei call center torna a farsi caldo, anzi rovente: con una lettera al governo e ai sindacati, Marco Tripi, il figlio del titolare e fondatore del gruppo Almaviva, Alberto, ha annunciato che l'azienda tornerà ad assumere lavoratori a progetto, a causa di pesanti perdite dovute alle stabilizzazioni realizzate nel 2007. Almaviva, che è anche proprietaria del celebre call center romano Atesia, spiega di aver perso 24 milioni di euro nell'ultimo biennio («24 milioni di euro!», scrive Marco Tripi con il punto esclamativo): se non ridurrà i costi, insomma, si minaccia «la perdita nel medio periodo di oltre 10 mila posti a tempo indeterminato e nel breve periodo la chiusura totale delle attività site su Roma».
Una bella spada di Damocle puntata sulla testa di migliaia di lavoratori che già hanno sacrificato tantissimo per avere l'agognato posto fisso: nella lettera, ovviamente, Tripi sorvola su quanto l'azienda ha risparmiato grazie alle rinunce sul pregresso che hanno dovuto firmare i lavoratori in cambio dell'assunzione a tempo indeterminato. Molti erano precari dal 1990, e i verbali delle ispezioni ministeriali dell'estate 2006 davano diritto ad esigere salari e contributi almeno a partire dal 2001: sarebbe stata una bella botta per la famiglia Tripi, che ha avuto per giunta anche gli incentivi dalla prima finanziaria Prodi e ha offerto agli operatori contratti part time di sole 20 ore settimanali, per 550 euro netti al mese.
Ora che il clamore mediatico sulle stabilizzazioni si è abbassato, insomma, il gruppo sarebbe pronto alla «fase due»: cestinare i dipendenti, dato che firmata la liberatoria non possono più fare causa, e infornare precari.
Bisogna però spiegare da cosa sia partita l'ultima sortita dei Tripi, perché alcune delle ragioni che portano a sostegno della loro minaccia non sembrano peregrine: Almaviva contesta al governo di non essere riuscito nella «omogeneizzazione» di tutto il settore con il passaggio a tempo indeterminato di gran parte degli operatori. In particolare, molti outbound di aziende concorrenti restano a progetto, con un costo del lavoro dimezzato rispetto ai contratti dipendenti. Questo «dumping», lamentano i Tripi, avrebbe portato l'azienda a perdere 24 milioni in due anni. In più, e qui la colpa è del settore pubblico, committenti come Enel, Eni e il Comune di Roma continuano a offrire ai fornitori paghe sotto i minimi contrattuali, obbligandoli di fatto ai cocoprò. Ancora: gli ispettorati del lavoro di regioni come la Sicilia, la Sardegna, la Calabria, sono meno «rigidi» rispetto a quelli del Lazio o della Campania, aumentando la «disomogeneità del mercato».
Questo quanto veniva dichiarato nel gennaio 2008, oggi 2012 la situazione è cambiata, quindi non preoccupatevi... almeno...
fonte (Antonio Sciotto 28-01-2008)
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