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                                                         La difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie.
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Licenziamento (Impugnazione)

Unknown | 12:51 | 0 commenti


Brevi note sul termine di impugnazione del licenziamento alla luce della più recente giurisprudenza di Adriana Capozzoli
Ai sensi dell'art. 6, L. 604/1966 il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione, con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore, anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale.
L'impugnazione non richiede formule sacramentali, essendo sufficiente ogni atto scritto con cui il lavoratore manifesti al datore, con qualsiasi termine anche non tecnico e senza formule prestabilite, la volontà di contestare validità ed efficacia del provvedimento, contenendo, questa manifestazione di volontà, implicita riserva di tutela dei propri diritti davanti all'autorità giudiziaria.
Ratio della norma è l'eliminazione di uno stato di incertezza sulla persistenza del rapporto di lavoro, tutelando l'esigenza datoriale di aver consapevolezza dell'organizzazione e gestione delle risorse umane, onde evitare il più possibile mutamenti degli assetti produttivi conseguenti alla riammissione in servizio di lavoratori precedenti espulsi.
1. Il termine decadenziale decorre pertanto a) dalla comunicazione del licenziamento ovvero b) dalla comunicazione dei motivi ove non contestuale (in tal caso l'impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore anteriormente alla comunicazione dei motivi pure richiesti non è colpita da inefficacia e non comporta onere di effettuare autonoma impugnazione), ovvero c) dalla comunicazione del preavviso in caso di licenziamento con preavviso.
Ai sensi dell'art. 2964 c.c. ai termini di decadenza non si applicano le norme relative alla prescrizione, stante la tassatività delle stesse, ed in particolare quelle di interruzione e di sospensione per le condizioni del titolare (art. 2942, n. 1 c.c.).
Pertanto la decadenza non può essere sospesa né dal periodo di preavviso né dalle normali ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro, come ad esempio la malattia o l'incapacità naturale.
Al contrario non preclude l'impugnazione la quietanza a saldo rilasciata dal lavoratore all'atto de riscossione del trattamento di fine rapporto o di altre spettanze, in considerazione del carattere di dichiarazioni di scienza della quietanza, come tale priva di effetto negoziale, inidonea a significare acquiescenza al licenziamento e rinuncia alla relativa impugnazione, in mancanza di circostanze idonee a dimostrare una inequivocabile volontà abdicativa.
2. L'art. 6 nulla dice se il termine decadenziale si applichi a qualunque tipo di licenziamento (nullo, annullabile o inefficace).
Al riguardo, dopo le incertezze espresse da dottrina e giurisprudenza, è intervenuta la Cassazione a Sezioni Unite con le sentenze n. 5394 del 18 ottobre 1982 e n. 1236 del 21 febbraio 1984, affermando che in caso di licenziamento nullo, sia per difetto di forma scritta sia per omessa comunicazione scritta dei motivi richiesti, non incombe sul lavoratore l'onere di impugnare a pena di decadenza il licenziamento entro il termine di cui all'art. 6.
La giurisprudenza maggioritaria ritiene che l'art. 6 sia applicabile a qualunque tipo di licenziamento, nullo, annullabile o inefficace che sia, ivi compreso il licenziamento nullo a causa di matrimonio o in gravidanza e puerperio, con la sola eccezione del licenziamento orale, in quanto ritenuto giuridicamente inesistente, onde il licenziamento intimato oralmente può essere impugnato nel termine di prescrizione quinquennale.
3. Sulla questione della recettizietà o meno dell'atto di impugnazione del licenziamento la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, si era assestata sulla prima posizione, prendendo le mosse dalla sentenza delle sezioni Unite del 18 ottobre 1982, n. 5395, che, componendo un contrasto giurisprudenziale, aveva qualificato l'impugnazione del licenziamento sotto un profilo sostanziale come atto unilaterale recettizio con l'effetto che entro il termine di sessanta giorni il lavoratore dovesse non solo manifestare la volontà di impugnare ma anche renderla nota al datore di lavoro.
La successiva giurisprudenza ha sempre ribadito il medesimo rigoroso orientamento, e, sia pure diversamente opinando sulla natura negoziale o meno dell'impugnativa, ha ritenuto che dalla natura di atto unilaterale recettizio dell'impugnazione del licenziamento conseguisse l'applicabilità dell'art. 1334 c.c. a mente del quale “gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati”.
Alla stregua di tale modello interpretativo, quanto alla impugnazione giudiziale, è stata ritenuta tempestiva l'impugnativa contenuta nel ricorso introduttivo soltanto ove la notifica del ricorso e del decreto fosse avvenuta entro il termine decadenziale di sessanta giorni, incorrendo nella decadenza suddetta “quando ci si sia limitati a depositare in cancelleria il ricorso introduttivo della causa di impugnazione entro il termine, provvedendo alla notificazione solo successivamente alla scadenza di esso, in quanto il mero deposito non è idoneo a realizzare la conoscenza da parte del convenuto della volontà espressa con l'atto depositato, salvo che dell'esistenza di questo egli non venga tempestivamente avvertito con comunicazione stragiudiziale, ma pur sempre per iscritto e anteriormente alla scadenza di cui sopra”, ciò “al fine di evitare l'insorgere di controversie in epoca lontana dai fatti con le intuitive difficoltà che ne conseguono in materia di prova per l'una e per l'altra parte” (Cass. ss.uu. 18 ottobre 1982, n. 5395).
Parimenti in caso di impugnativa stragiudiziale effettuata per mezzo della comunicazione da parte del lavoratore alla Direzione Provinciale del Lavoro della richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione, la Suprema Corte ha ritenuto che il deposito dell'istanza di t.o.c. ex art. 410 c.p.c., contenente l'impugnativa del licenziamento, non fosse sufficiente ad impedire la decadenza, essendo necessario a tal fine che la comunicazione della convocazione da parte dell'ufficio pervenisse al datore di lavoro prima del termine dei sessanta giorni, salvo provvedere il lavoratore autonomamente alla comunicazione della richiesta senza attendere quella dell'ufficio, onde evitare il maturarsi della decadenza.
A tal proposito la Cassazione aveva ritenuto che “il termine di decadenza opera in via primaria nell'interesse del datore di lavoro il quale deve avere la sicurezza di poter provvedere alla necessità dell'impresa senza il rischio di dover riassumere (o dover risarcire) dei lavoratori che siano stati licenziati anche in epoca remota ed è stato quasi introdotto come contropartita della disciplina limitativa dei licenziamenti ed a salvaguardi di fondamentali esigenze di certezza”.
Di fronte a tale interpretazione formalistica e teleologicamente orientata a opinabili esigenze di certezza, con un recentissimo revirement la giurisprudenza di legittimità con la sentenza Cass. sez. lav. 4 settembre 2008, n. 22287 ha statuito che “l'impugnazione del licenziamento individuale è tempestiva, ossia impedisce la decadenza di cui all'art. 6, L. 604/1966, qualora la lettera raccomandata sia, entro il termine di sessanta giorni ivi previsto, consegnata all'ufficio postale ed ancorchè venga recapitata dopo la scadenza di quel termine”.
Tale decisione si segnala per avere la Corte esteso il principio di scissione soggettiva del momento perfezionativo della notifica degli atti a mezzo ufficiale giudiziario anche ai casi di comunicazione di atti a mezzo del servizio postale, ritenendo tale principio applicabile non solo nel diritto processuale ma anche nel diritto sostanziale in quanto strumento di tutela costituzionale dei lavoratori (art. 36 Cost.) contro il licenziamento illegittimo.
Invero è interessante rilevare il riferimento operato dalla Suprema Corte ad una, proprio altrettanto recente, decisione (sent. 19 giugno 2006, n. 14087), che, in contrasto con precedenti e conformi pronunce, in materia di impugnativa a mezzo richiesta di t.o.c., ha ritenuto il termine decadenziale suscettibile di sospensione per via della mera richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione, con l'effetto che l'eventuale ritardo da parte dell'ufficio nel comunicare la richiesta all'azienda non deve avere conseguenze per il lavoratore, essendo irrilevante per il lavoratore, in quanto estraneo dalla sua sfera di controllo, il momento in cui l'ufficio provvede a comunicare la convocazione al datore di lavoro.
Deve sottolinearsi peraltro che già la giurisprudenza di merito si era inserita sulla scia di tale ultimo filone interpretativo costituzionalmente orientato circa gli effetti del termine decadenziale sul lavoratore, e proprio in tema di impugnazione a mezzo lettera raccomandata, era giunta ad escludere il perfezionarsi della decadenza di cui all'art. 6 in caso di mera consegna della comunicazione all'ufficio postale prima del decorso del termine, ancorchè ricevuta dal datore in momento successivo.
4. La decadenza del lavoratore dall'impugnativa non può essere rilevata d'ufficio, in quanto, concernendo un diritto disponibile quale è la conservazione del posto di lavoro, non è a norma dell'art. 2969 c.c., rilevabile d'ufficio, ma dà luogo ad una eccezione in senso stretto, la quale dev'essere proposta dal datore di lavoro, convenuto in giudizio, con la memoria di costituzione, ai sensi dell'art. 416, 2 comma, c.p.c..

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